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giovedì 6 marzo 2008

Autoprodursi: fletto i muscoli e sono nel vuoto (di Norberto CEFARATTI)

Iniziamo chiarendo il concetto chiave di questa breve dissertazione: viene definita autoproduzione, nel campo del fumetto nel nostro esempio, la volontà e la capacità di raccontare storie a fumetti senza avere un committente, un editore di riferimento, diventando in sostanza editori di se stessi.

Nel fumetto questo ha un fascino tutto particolare, originato da un aspetto fondamentale: il costo irrisorio delle materie prime. Il fumetto è popolare non solo per la sua natura comunicativa, ma soprattutto per la capacità di essere disponibile a chiunque voglia utilizzarlo per narrare, indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza o la fascia di reddito propria o della famiglia. E’ una delle ultime istituzioni mediatiche ancora di non esclusivo appannaggio di elite intellettuali e artistiche tutelate dalla capienza del conto in banca.

Non ho vissuto direttamente gli anni fumettistici a cavallo del 1980, ma a posteriori credo che la scelta di Andrea Pazienza di legare gran parte della sua produzione artistica al fumetto, piuttosto che alla pittura e all’illustrazione, campi nei quali eccelleva comunque, non sia stata frutto di casualità; fare fumetti per lui e la sua generazione di disegnatori (mi viene in mente anche il primo Manara) garantiva un contatto diretto con un pubblico reale, niente a che vedere con quello elitario della pittura. E il problema, come detto, non riguarda solo il tipo di pubblico, ma in maniera ancora più importante la nascita degli autori. Da dove provengono, e soprattutto da dove possono provenire i suddetti? E’ una domanda determinante per analizzare qualunque periodo storico, che più di qualunque indagine statistica sul venduto ci può dare il polso di quanto sia vitale il fumetto.

In Italia abbiamo potuto evidenziare oggi due tendenze apparentemente contrastanti: da un lato la lenta ma decisa erosione del parco lettori di fumetti, tutti, dai più conosciuti agli ultimi della serie, con sopravvivenza garantita soltanto alle testate più “commerciali”, legate all’umorismo o all’avventura semplice e lineare. Dall’altro abbiamo riscontrato un fermento incredibile da parte dei nuovi autori, per lo più giovani, che moltiplicano le testate e gli albi, che siano singole uscite o tentativi di fare delle serializzazioni, che si riuniscono sotto il tetto di una piccola casa editrice o, appunto, si spendono nel coraggioso tentativo di un’autoproduzione.

Oggi possiamo parlare non tanto di fumetto underground in Italia, ma di fumetto “invisibile”. Il circuito delle librerie specializzate non garantisce l’ossigeno minimo di cui ha bisogno un autore, la platea è ristrettissima, ancora più ristretto lo spazio sugli scaffali. Un grandissimo successo di pubblico e di critica si quantifica in… mille copie vendute. Ora voi capite che se domani vi fate un autoritratto e andate a venderlo porta a porta nel vostro quartiere e fra amici e parenti vendete di più…

Questo è il bicchiere mezzo vuoto. La parte (metà) piena ci dice che c’è una voglia incredibile di raccontare storie, di creare mondi nuovi con la matita e il pennarello, di raccontare storie urbane o intimistiche, fantascientifiche o di avventura. Ogni autore riflette il suo background culturale di lettore, di fumettisti di riferimento, ma anche di cinema, letteratura, musica, masticata e poi sputata con pezzi del proprio vissuto e delle proprie passioni. I risultati sono imprevedibili, si va dalla schifezza al capolavoro, ma una cosa è certa: c’è “vita” su questo pianeta.

Come sollevare dalla condizione di invisibilità tutta questa “vita” è compito e preoccupazione degli editori, se meritano questo nome, e più in generale degli operatori culturali del settore, cominciando dagli organizzatori delle varie mostre sparse sul territorio nazionale. Non basta più, anzi è persino deleterio, creare una manifestazione ad uso e consumo della mostra mercato, della rivendita di gadget e fumetti famosi e sempre più costosi, oppure la vuota celebrazione di autori e personaggi ormai affermati, che suona davvero ridondante, pleonastica, persino fisicamente fastidiosa nella sua inutilità. Basta con Tex, Dylan Dog e le altre icone che affollano le edicole, e che il loro tempo, nel bene e nel male, lo hanno fatto. Sarebbe ora di avere la capacità intellettuale e il coraggio di guardare avanti, rendere le mostre degli squarci verso l’ignoto, piuttosto che dei pedanti libri di storia.

Così, mentre i soggetti che dovrebbero occuparsi di cultura si limitano a creare dei giochini che sublimano autogratificazioni erotiche (le mostre piccole) o dei baracconi da “prendi i soldi e scappa” (le mostre grandi), i nuovi autori battono prepotentemente alla porta di questo mondo decadente, unici portatori di un afflato vitale.

La risposta è anche l’auto-produzione! Avete voglia di raccontare storie? Avete personaggi e città nascoste fra i fogli delle vostre cartelline? Dategli vita! Fate un fumetto, poi potete scegliere se farlo circolare fra gli amici in fotocopia, oppure online su un qualunque sito, o meglio ancora andate in tipografia, con meno di mille euro avrete fra le mani un prodotto professionale, che poi dovrete pensare a come distribuire, e in quali canali. Un albo non ha neanche bisogno di un editore, è sufficiente trovare una testata registrata che vi inserisca fra i supplementi annuali di cui ha diritto, a costo zero. I primi passi poi chiamano da soli i successivi. Se l’idea è forte abbastanza da camminare con le sue gambe si evolverà da uno stadio all’altro con una speditezza sorprendente.

Che ci crediate o no, Rat-Man, il più grosso successo editoriale dai tempi di Dylan Dog, è nato esattamente così. Chi batterà il prossimo colpo?

Norberto Cefaratti

(data di prima pubblicazione sul sito Il Cassetto dei Sogni: 26 Aprile 2004)

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