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martedì 22 luglio 2008

Cignana, ovvero a spasso tra sogno e incubo (di Daniela PROTTI)


Prologo


Ognuno di noi ha i suoi miti personali; il mio si chiamava Cignana. Per tanti anni, durante le vacanze in Valle d’Aosta, si parlava, con il mio ormai ex marito, di fare una gita al lago di Cignana, appunto. Chissà perché, per un motivo o per l’altro si rimandava sempre, da un anno all’altro; così io, Cignana, non l’ho vista mai. Quest’anno, che mi vede sola nella mia adorata valle, ho deciso di andarci, e di realizzare questo vecchio sogno.

Dopo tre giorni di pioggia e vento gelido, ecco finalmente il sole; ed eccomi armata di zaino e bastone, sul sentiero per Cignana.
Ho chiesto la strada ad un sacco di persone, che naturalmente mi hanno consigliato un sacco di percorsi diversi, per cui imbocco quello che mi ispira di più e vado.
La mia borraccia è vuota, ma la riempirò alla prima fontana che incontrerò. Tra boschi e pietraie, arrivo alla vecchia centrale idroelettrica senza incontrare un’anima, ma ahimè, senza trovare neppure l’ombra di una fonte. L’unico incontro degno di nota, è una vipera che si srotola mollemente al sole, in un anfratto del muretto a secco. Ci guardiamo per un attimo, poi lei mi pianta in asso, ed elegantemente scivola via tra i sassi.
Riprendo la salita, un po’ assetata ma ancora speranzosa, fino a raggiungere un bellissimo pianoro, dove si trova un pittoresco, quanto palesemente disabitato villaggio; vale una foto, per cui mollo zaino e bastone, cerco la macchina fotografica e… click! Nel bel mezzo della mia foto c’è un ragazzino, che pare spuntato dal nulla; mi ha oltrepassata, e si allontana trascinandosi stancamente. Fatta finalmente la foto riprendo il cammino, e vengo raggiunta nonché superata, da una miriade di ragazzini, che come me disperano ormai di riuscire a raggiungere la meta, e l’acqua…
Mi sorpassano a piccoli gruppi, e ogni gruppo scambia qualche parola con me, che proseguo solitaria; vengo a sapere che sono in un campeggio giù a valle, e che questa è la loro prima gita.
Dopo 3 ore di “cammino” (si fa per dire), giungo ai piedi della diga; la attraverso e risalgo sul versante opposto, da dove un bellissimo ponte, mi riporterà sull’altro lato. Nel frattempo, i ragazzini continuano ad arrivare (ma quanti saranno?), anche se ce ne sono alcuni che sembrano più malconci di me; ne fermo due tra i più grandicelli, sui 15 anni, e chiedo loro di farmi una foto. Va bene tutto, ma dopo tanta fatica, vorrei avere almeno un ricordo, della mia gita solitaria!
Mi accontentano, poi mi salutano e proseguono; continuo anch’io, perché ho ancora la speranza che alla fine del ponte ci sia una fontana. La sete ormai si fa sentire parecchio; ma la mia è appunto solo una pia illusione, perché qui, intorno a un lago, non c’è un filo d’acqua…!
Costeggiata la sponda destra del lago, raggiungo la chiesetta, dove intendo fermarmi per mangiare e riposare un poco; lì sul prato ci sono tutti i ragazzini, una sessantina, che già rifocillati, stanno prendendo in giro a gran voce i ritardatari, tre disperati che barcollano ancora giù per il sentiero dietro di me; be’, in fin dei conti, non sono neppure arrivata ultima!
Mangio i miei panini e mi disseto con la frutta, poi una sigaretta e riparto; non voglio fare soste lunghe, perché visto il mio allenamento praticamente nullo, temo che non riuscirei più a continuare, dopo…
Decido di non tornare per la stessa strada, ma di continuare e salire in cima al passo, alla “finestra di Cignana”, per poi scendere sul versante opposto e tornare a casa. I cartelli indicano un’ora di cammino, per raggiungere la cima: vado.
Dopo una decina di minuti finalmente vedo una cascatella, che saltella allegramente tra i sassi; Acqua!
Era ora! Non so se è potabile, ma non mi interessa; butto tutto a terra e bevo. E’ buona e fresca, e mi riempio la borraccia; fatica inutile, perché scopro poco dopo che da lì in poi, ad ogni curva ne troverò una…
Il sentiero si srotola in mezzo a prati coloratissimi, e il profumo dei fiori è intenso; mi fermo di tanto in tanto per fare qualche foto (e per riprendere fiato), ma la cima è sempre più vicina.
Mi torna anche, inevitabile, il pensiero alla persona con cui a Cignana sarei dovuta andare; a tutto quello che è stato, a tutto il male che ci siamo fatti, e a come tutto è finito…
Termino l’ultimo tratto di salita, con un unico, confortante pensiero: dopo sarà tutta discesa!
Alla “finestra” mi concedo una pausa da “fumino”, e mi riempio gli occhi di questo paesaggio grandioso; poi comincio a scendere. Non c’è un’indicazione per Valtournenche, per cui opto per il sentiero che va verso Perreres, sperando di incrociarne prima o poi, uno che scenda più a sud, verso le “tre casette”, che sono il mio punto di riferimento.
Infatti, dopo un bel tratto lo trovo, semisepolto tra l’erba, ma che indubbiamente scende velocemente verso valle; lascio quello per Perreres, che prosegue dritto come un fuso, e vado giù. E’ davvero impervio, e lo perdo un paio di volte, ma lo ritrovo e continuo. Sbocco su una mulattiera, che però verso sud è interrotta e non mi resta altra alternativa che andare a nord. Scende dolcemente ondeggiando tra i boschi, ma mi viene un accidente quando, uscendo dal folto degli alberi, mi trovo faccia a faccia col Cervino. Immenso, stupendo, luccicante della neve fresca caduta ieri; ma purtroppo per me, troppo mostruosamente vicino!
Almeno, considerando il fatto che io dovevo andare esattamente dalla parte opposta…
Guardo giù, e mi accorgo con disperazione, di essere ben oltre Perreres, e molto molto più in alto…come è possibile?
In questo momento ho davvero paura; sono sola, stanca da morire, lontana anni luce da dove dovrei essere, ma soprattutto, col telefonino inesorabilmente muto; e qui non c’è anima viva.
Continuo a trascinarmi avanti, ma ormai i miei movimenti sono completamente scoordinati; mi è venuto un feroce mal di testa (da panico), e i miei piedi si intralciano tra loro. Inciampo un sasso si e uno no, vacillo, miracolosamente resto sempre in piedi; guardo ancora giù, e vedo ancora chilometri di bosco, tra me e la valle…mi viene da piangere, e piango e cammino, e cammino e piango.
Dopo un’ennesima curva, trovo l’indicazione di un sentiero, che lascia la mulattiera e torna verso sud; senza neppure fermarmi a pensare, mi ci tuffo e inizio a scendere, ora in modo più rapido (e ripido), attraverso un fitto bosco. Sembra che non finisca mai, ma poi a un tratto le vedo…le tre casette!
Grazie al cielo le ho ritrovate; ringrazio mentalmente tutti coloro ai quali, sempre mentalmente, avevo chiesto aiuto, Cervino compreso. So di avere ancora un sacco di strada da fare, ma almeno so dove mi trovo…
Giunta finalmente alle casette, mi concedo una pausa, mi fumo la mia sigaretta, e poi riprendo con un altro spirito, il cammino. All’alpe Tomaley mi ristoro alla fontana, mi riposo un poco e poi mi avventuro giù per il bosco, sulla scomodissima e faticosa scorciatoia, che mi riporterà giù più velocemente; quando i miei piedi toccano l’asfalto di Crepin, mi fanno male anche muscoli che neppure sapevo di avere….le gambe mi tremano, e il mal di testa ha raggiunto un livello da “allarme rosso”. Due secondi seduta sui gradini della chiesa, e poi avanti; mai, Crepin mi era sembrato così lungo da attraversare…
Gli ultimi metri prima di arrivare all’albergo li faccio per inerzia, nella mia mente un solo pensiero: levare le scarpe…….!