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mercoledì 11 giugno 2008

Notte di Natale (di Fabrizio CASSINELLI)

Mancavano pochi giorni a Natale; la piccola Daniela non aveva ancora scritto la letterina a Babbo Natale, non perché fosse indecisa su cosa chiedergli, le sue richieste avrebbero riempito senza difficoltà il foglio bianco, ma..
Ma aveva scoperto la Verità. Una cruda Verità che cambiava il corso della sua vita: Babbo Natale non esisteva. Se non nei sogni e nei desideri dei bambini.
Il vecchio con la barba bianca e lo splendido vestito rosso era solo un’invenzione, per mascherare la Verità.
Pensò ai bambini che prima di lei avevano fatto la triste scoperta, vedendo mamma e papà mettere i doni sotto all’albero addobbato.
Come avevano reagito?
Dalla finestra della sua cameretta, la bimba guardò la sua immagine riflessa nel vetro, con i riccioli castani che cadendole sulle spalle incorniciavano il viso deluso.
La neve scendeva lenta e silenziosa a ricoprire il giardino che circondava la casa, incurante dell’esistenza di Babbo Natale.
La neve sapeva da sempre.
Daniela guardò il foglio bianco sul suo lettino, appoggiato su una coperta di lana, ricamata con il Grande Vecchio a bordo della sua slitta, trainata dalle renne, che solcava il cielo.
Una lacrima scese lungo le guance pallide.
Nel caminetto un ciocco di legno profumato scoppiettava, riscaldando la camera, ma non il cuore gelido della bambina.
Dal corridoio le giunse il vociare di Margot; velocemente asciugò le lacrime e si sedette alla scrivania, davanti a quel foglio che avrebbe desiderato scrivere, ma che, in quel momento rappresentava solo una sconfitta interiore.
La sorellina entrò in camera con la violenza dell’uragano e raggiunse Daniela, guardando la letterina ancora senza scritte.
«Non sai cosa chiedergli?»
Per un istante Daniela fu sul punto di scoppiare a piangere, raccontando tutto alla sorellina, ma riuscì a trattenersi.
«Ma piantala, è che vorrei tante cose e devo decidere.»
Margot uscì dalla camera, come era entrata; correndo.
Daniela scosse la testa guardandola e pensò a quanto fosse fortunata, non sapendo ancora la Verità..
Rigirò tra le mani la cannuccia d’avorio, con il presepe intagliato e il pennino d’oro, regalo dell’anno precedente, quando ancora pensava che Babbo Natale fosse sceso dal camino, lasciando i doni sotto l’abete, addobbato con le palline di vetro colorato.
Intinse il pennino nell’inchiostro blu e scrisse.
«Caro Babbo Natale, non so a chi sto scrivendo veramente. So che non esisti, ed è una brutta cosa, ma non dirò niente a Margot. Lei è ancora piccola, non voglio che soffra come me.
Avevo tante cose da chiederti, ma adesso a chi le chiedo?
Ciao.
Daniela»
Appoggiò il foglio di carta assorbente sulla letterina, asciugando l’inchiostro e la lacrima caduta sulla pagina incompleta, poi lo guardò sorridendo. Quelle poche righe avevano lo stesso colore della lacrima.
Piegò il foglio e lo inserì nella busta, senza scrivere l’indirizzo, sapendo che non sarebbe uscita di casa, quella lettera.
Scese nella grande sala, dove nel camino ardevano diversi ciocchi.
«Brava stupida, come farebbe Babbo Natale a scendere dal camino, con quel fuoco?»
Un altro colpo alla fasulla storia; sorrise alla mamma, che sul divano stava rammendando un vestito rosso.
«Hai scritto la tua letterina, amore?»
La voce della mamma, che, ignara della scoperta fatta dalla figlia, trasudava compiacimento per quel gioco, dove nulla sembrava essere più reale, suonò finta alle orecchie di Daniela.
«Sì.», fu la laconica risposta, la mancanza di entusiasmo era ben evidente. Le volte precedenti la bambina aveva svelato alla mamma le sue richieste; cosa che in quel momento non si sentiva di fare.
«C’è qualcosa che non va?»
«No, vado a giocare con Margot.»
Daniela appoggiò la letterina sotto l’albero, in modo che potesse accorgersi se fosse stata toccata da qualcuno, prima dell’arrivo del Babbo Natale.
Prima di andarsene prese un dolcetto dal vassoio al centro del grande tavolo di noce che a Natale sarebbe stato imbandito all’inverosimile e corse verso la stanza da dove proveniva la voce della sorellina, seguita dallo sguardo preoccupato della mamma.

Mezzanotte si stava avvicinando troppo velocemente per Daniela e troppo lentamente per Margot.
La cena della Vigilia era finita e la famiglia era riunita davanti all’albero e al Presepe, che il papà delle bambine aveva allestito con cura maniacale.
«Quando arriva Babbo Natale?»
Margot non stava più nella pelle. Daniela la guardò, provando un attimo di rabbia, ma nascose molto bene le sue emozioni.
«A mezzanotte, quando noi dormiamo; lo sai!»
La mamma capì in quel momento che Daniela sapeva.
«Fine della magia del Natale per lei. Troppo presto.»
Il piattino con il cibo e il bicchiere di vino rosso per Babbo Natale, oltre al fieno per Rudolph, rattristarono ancor di più Daniela.
«Chi mangerà il formaggio? E il fieno? Finirà nel camino?»
«Margot, andiamo a letto.»
Le bimbe salutarono mamma e papà, poi salirono di corsa le scale.

Quando fu sicura che le figlie stavano dormendo profondamente, la mamma prese le letterine e le aprì, leggendole insieme a suo marito.
Margot chiedeva una bambola per lei e una per la sorella, e che Babbo Natale proteggesse la sua famiglia. Ne aveva parlato per tanto tempo, delle due bambole, che non c’era bisogno di leggerlo sulla letterina ed erano state comprate in anticipo sul Natale.
Quello che lessero sulla lettera di Daniela, invece li lasciò di stucco.
«Prima o poi doveva succedere, cara.»
«Lo so, ma è brutto.»
I libri di avventure di cui Daniela parlava, erano comunque già in casa e li misero sotto all’abete, con le due bambole; poi anche i genitori andarono a dormire.
Al dodicesimo battito della pendola, Daniela aprì gli occhi, quasi spaventata. Era abituata a sentirne i rintocchi, al punto di non svegliarsi fino al suo solito orario, ma in quel momento sembrava che il suono non fosse il solito.
Si alzò, cercando di non svegliare Margot e uscì dalla camera.
Sentì suo padre russare e nient’altro.
A piedi nudi, per non far rumore, scese le scale; stranamente i gradini di legno non scricchiolarono.
La cosa le sembrò alquanto strana; giunta alla base della scala, si girò a guardarla: era la solita scala, uguale ad ogni volta che l’aveva salita e ridiscesa.
Si incamminò sul gelido pavimento verso il soggiorno, da cui proveniva il chiarore del fuoco nel camino, non ancora spento.
La sorpresa fu enorme, nel trovare, seduto sul divano, un uomo con la barba bianca e il vestito rosso, intento a mangiare il pane e il formaggio che avevano lasciato sul tavolo, ma la cosa che più le fece sgranare gli occhi per lo stupore fu la presenza di una stupenda renna, con il muso affondato nel fieno.
Daniela si diede un pizzicotto su una mano e sentì il dolore; era sveglia.
L’uomo si girò verso di lei e Rudolph si alzò a guardare la bambina sulla porta.
«Ciao Daniela, vieni, siediti qui, vicino a me.»
La bimba avanzò verso di lui, come se non potesse resistere al richiamo della voce.
«Ma tu, sei..»
«Babbo Natale; quello che pensavi ti avesse tradito. Eccomi qui, solo per te, per dirti che esisto.»
Daniela allungò timidamente una mano verso la barba, seguita dallo sguardo di Rudolph, che lasciò il fieno avvicinandosi al divano.
«E’ vera, tirala pure se vuoi.»
Daniela non andò oltre, resistette all’impulso.
L’uomo le accarezzò i capelli, e la baciò in fronte. La bimba si sentì pervadere da un calore che non proveniva dal camino.
Il muso di Rudolph era a pochi centimetri dal suo viso e il caldo fiato la riscaldava.
Il suo cuore aumentò i battiti, quando la renna le sfiorò una guancia; sentì il naso umido e subito dopo la lingua dell’animale. Per nulla spaventata apprezzò quel gesto, tenero di amicizia.
«Ma come fai con gli altri bambini?»
«Il tempo si ferma, anche se voi non ve ne accorgete. E io vado a trovarli tutti. Con qualcuno, come te, devo cercare di recuperare la fiducia in me, ma non è un problema. Finisco sempre il mio compito. Mi diverto, ingrasso qualche chilo, con tutto quello che mangio, ma alla fine sono felice, come lo sarai tu domani mattina.»
Rudolph diede un colpetto a Babbo Natale, facendogli segno che dovevano andare.
«Vedi, ci pensa lui a ricordarmi che devo riprendere il viaggio.»
Dal sacco appoggiato vicino al camino, il Vecchio prese due pacchettini e li appoggiò vicino ai doni che già erano sotto l’albero, poi si alzò e salutò la bimba.
L’ultimo rintocco della pendola svegliò Daniela. Si guardò intorno. Era nel suo letto e Margot dormiva profondamente.
Scese dal letto e uscì dalla camera.
Il russare di suo padre la fece trasalire.
Scese le scale, non riuscendo a non far scricchiolare i gradini.
Il fuoco nel camino era spento, ma la brace illuminava a sufficienza il soggiorno.
Si avvicinò al tavolo. Il piattino e il bicchiere erano vuoti.
Corse vicino al divano. Briciole di pane erano sparse per terra.
Corse all’albero. I doni erano lì, ma non le interessavano. Cercò i due pacchetti di carta rossa.
Il cuore cominciò a battere furiosamente quando li vide.
Ne prese uno e lo aprì.
Rimase a bocca aperta quando vide un Babbo Natale di peluche, poi avvertì il dolore alla mano sinistra.
Un livido nero in mezzo alla manina candida.
Si sentì quasi mancare, poi corse verso le scale.
«Margot, Margot, è arrivato!»


Samba pa Ti (di Daniela PROTTI)

Le persiane socchiuse, la stanza in penombra; non una voce fuori, nel cortile.
Nella quiete del pomeriggio estivo, nell’illusione di un fresco che non c’è, chiudo gli occhi….
La chitarra di Carlos Santana, mi riporta piano piano indietro nel tempo.
La mia stanza, il mio letto, i miei anni, non ci sono più; ho 15 anni, un improbabile mini-abito pantalone, e il terrore di trovarmi per la prima volta, in una sala da ballo.
Si, lo so che oggi si dice discoteca; ma allora no; allora si chiamava sala da ballo, e suonavano regolarmente 3 balli lenti e 3 “shake”.
Lo shake! Per una ragazzina timida come me, un incubo!
La musica, tassativamente “dal vivo”, aveva un volume sopportabile, e chi non ballava poteva anche permettersi il lusso di chiacchierare.
Nella mia compagnia, sono “la piccolina”, perché nonostante superi in statura tutte le mie amiche, sono la più giovane; e l’unica, che non è mai stata a ballare.
Mi guardo intorno frastornata, cercando di capire come funziona…
Il complesso inizia a suonare; è un complesso locale; si chiamano “Le pesche sciroppate”, e suonano canzoni di cantanti famosi. I ragazzi si alzano e cominciano a girare tra i tavoli, alla ricerca di una compagna di ballo.
Ad ogni educato “no grazie”, si rivolgono a quella seguente. Poverettti, eh? Pensandoci ora, neanche loro avevano vita facile! Chissà quanti “no grazie” hanno dovuto accettare, prima di riuscire ad accompagnare una ragazza sulla pista!
Ma intanto, la coda di ragazzi si avvicina pericolosamente al nostro tavolo; cosa faccio? Dove guardo? Le mie amiche, perfide, si godono lo spettacolo del mio imbarazzo; loro, che timide non sono affatto, non capiscono il mio sacrosanto terrore…
E mentre sono concentratissima a fissare le modanature del soffitto, sento una voce molto vicina, che mi dice: scusa, balli? Ma le modanature sono “troppo” importanti, così non rispondo…se ne andrà! No. Non se ne va. Continuo imperterrita a studiare i ghirigori, ma sento un tocco delicato sul braccio, e la solita voce: scusa, balli? ‘cidenti, devo proprio rispondere; per forza…sono una ragazza educata, io!
Mi volto, serafica, lo guardo e…BALLI? Guardo le amiche di sottecchi: se rifiuto non mi salvo più.
Va bene! Mi alzo, e lui mi fa strada sulla pista affollata…mi cinge alla vita, e io appoggio le mani sulle sue spalle…il punto più alto della sua testa mi arriva al naso…e stanno suonando “Samba pa ti”!
I musicisti ci mettono l’anima, ma Santana è un’altra cosa….e poi, c’è quella nota così stonata….
Ci metto un po’, prima di rendermi conto che la nota stonata è il campanello di casa, che suona all’impazzata; schizzo giù dal letto, e corro ad aprire…
Mamma, ma dov’eri? Perché non rispondevi? Mi hai fatto preoccupare!
Dov’ero, dov’ero…ero a ballare!


Gita al lago (di Daniela PROTTI)

Arriviamo a Stresa nel primo pomeriggio; il traffico è praticamente inesistente, e la giornata è splendida.
Parcheggiata l’auto a pochi metri dal lago, mi affaccio alla balaustra, per godermi lo spettacolo…
Migliaia di stelle dorate, luccicano sull’acqua, dove qualche placido gabbiano dondola dolcemente, appollaiato su una boa.
Al di là del maestoso cancello, ottenuti i nostri biglietti da una cassiera probabilmente seccata dal fatto di doversene rimanere intrappolata lì tutto il pomeriggio, imbocchiamo il viale, che salendo dolcemente, ci porterà nel cuore del parco.
La primavera qui, è un’ esplosione di colori; fiori di centinaia di specie diverse, mescolano il loro profumo a quello del sottobosco; una cascatella gorgoglia allegramente, saltellando sulle rocce, e a mio marito e a me, sembra per un attimo di essere sulle nostre montagne, nel posto che noi abbiamo sempre chiamato “casa”.
Risalendo pian piano la collina, ci fermiamo di tanto in tanto per guardare il lago Maggiore, che da qui ci offre un panorama idilliaco, e per fotografare i fiori; anche se la nostra macchina fotografica, non sembra essere all’altezza di ciò che le chiediamo.
Ci sono alberi altissimi, che attraggono la mia attenzione; ufficialmente: perché in realtà mi sono fermata a riprendere fiato… ahimè, i chili che ho messo quest’ inverno si fanno sentire… comunque leggiamo che si tratta di “Tulipiferi”; nome che ci è totalmente sconosciuto, ma che si presta facilmente ad eventuali giochi di parole, perché scopriamo che questo tipo di albero, viene usato per la costruzione di strumenti musicali.
Dopo un po’, ci troviamo davanti ad un cancelletto girevole, che attraversiamo; da qui in avanti, incontreremo gli animali.
I daini hanno ancora la “tenuta” invernale; il loro manto è ancora chiarissimo, ma a poco a poco tornerà ad essere del color marrone “estivo”. Ci fermiamo davanti ad una gabbia, all’ interno della quale, un orsetto lavatore cerca incessantemente una via d’uscita; deve essere terribile, per lui, essere relegato lì dentro…
Poco più avanti, vediamo un castoro, placidamente addormentato nella sua tana; e mentre lui dorme, i suoi dentini continuano meccanicamente a rosicchiare! E’ tenerissimo da vedere, e ci piacerebbe poterlo accarezzare….
Ovviamente, il signor Castoro ha una consorte, che mentre il marito dorme, fa tranquillamente colazione…
Le donne, si sa, sono più dinamiche!
Lungo il nostro cammino, abbiamo modo di “incontrare” anche qualche canguro, che non si degna di fare neanche un saltellino (antipatico, cosa gli costa?), e due o tre struzzi; sarà che non c’ è Will Coyote, ma anche loro si limitano a passeggiare pomposamente…
Arrivati alle serre, il profumo del lillà ci inebria; è delizioso….e invisibile! Ma i giardinieri, qui si sono sbizzarriti, e lo spettacolo delle aiuole è meraviglioso.
Dopo una “pausa gelato”, riprendiamo il nostro cammino; piano piano torniamo a scendere dalla collina verso il lago, il parcheggio, e la nostra macchina, che ci aspetta comoda e calda… sotto il sole…!


sabato 7 giugno 2008

La macchia di Nulla (di Daniela PROTTI)

Ho sempre sostenuto si trattasse di vigliaccheria.
Ho sempre pensato che bisogna rialzarsi e riprovare, ogni maledettissima volta.
Ho sempre detto: troppo comodo, mollare tutto e via….
Mi sbagliavo.
Potrebbe trattarsi di Infelicità. Una forma purissima e letale di Infelicità.
Oh, non quella che ti piomba addosso come una randellata e ti fa stramazzare a terra, no.
Da quella ti puoi difendere, ti puoi rialzare e combattere.
Quella più furba; che ti si annida da qualche parte dentro, come una macchia di Nulla, che piano piano fa sparire tutto, mentre scivola dal cuore alla testa, dalla testa al cuore.
E dietro di sè, non lascia niente, solo il Nulla.
Ma non te ne accorgi subito, no. Piangi, gridi, provi ancora, ti aggrappi a qualsiasi cosa, ma non ce la fai; e allora cerchi dentro, e scopri che non c’è più niente. Non è rimasto niente, ma il Nulla dentro di te pesa come un macigno. Gonfio della tua vita, l’ha trasformata in pura essenza di Infelicità. Ti obbliga a trascinarlo con te, e tu non riesci più ad alzarti, a muoverti, a vivere.
Ci provi ancora, in tutti i modi, ma la macchia di Nulla non viene via, non si cancella, e non ti restituisce la tua anima.
E’ allora, che ci pensi…un Nulla in cambio di un altro…non sarà mai peggio di questo…
Splash!