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domenica 11 luglio 2010

Giù di là (di Daniela PROTTI)

E’ proprio vero: i grandi non capiscono.
C’ è un luogo magico, dove le cose non sono quello che sembrano; dove gli oggetti cambiano, diventando qualcos’altro. Harry Potter ha scoperto di recente, la sua “Stanza delle necessità”; ma noi, bambine di quarant’anni fa, l’abbiamo scoperto allora, il nostro angolo di mondo fatato; e questo posto si chiamava “Giù di là”.
Il segreto di “Giù di là” non lo conoscevano tutti, no: i grandi lo vedevano, occasionalmente ci andavano, ma non lo “capivano”. Loro vedevano soltanto un cortiletto, al quale si accedeva da uno stretto corridoio tra due case; a destra la porta di una latrina, perché all’epoca non esisteva nelle case la stanza da bagno; subito dopo, un fazzoletto di sabbia (latrina dei gatti di casa), e i bidoni per la spazzatura. A sinistra, una breve scaletta affiancata da una ringhiera arrugginita, portava alle cantine; quattro porte di legno dotate di enormi catenacci, ma sempre aperte.
“Giù di là” era il nostro regno. Un giorno poteva essere il vecchio west, e mezz’ora dopo trasformarsi nella jungla amazzonica, in un’oasi nel deserto, o nel centro di New York. Nella cantina, fonte inesauribile di tesori, trovavamo di volta in volta gli spunti per la nuova avventura; come quella volta che….
L’estate era al culmine, il sole scioglieva anche le parole; la gente stava rintanata al fresco delle case, persino le mosche sembravano stanche di volare…ma noi no: noi, refrattarie al caldo d’agosto, ci eravamo rifugiate in cantina, alla ricerca di qualche idea per trascorrere il sonnolento pomeriggio. Rovistando in uno scatolone, ci ritrovammo tra le mani…un fantastico set di ferri da chirurgo! In effetti, se li avesse guardati un adulto, avrebbe visto soltanto una manciata di cacciaviti arrugginiti; ma siccome eravamo “giù di là”, questi si erano trasformati tra le nostre mani. Con il muto consenso delle porte delle cantine, che si offrivano come nostre pazienti, iniziammo il nostro lavoro di provetti Cerusici; con sapienza e metodo, nel giro di un’ora le porte si erano trasformate in straordinari capolavori dell’arte del traforo.
Al clonk clonk del bastone dello zio Giuseppe, interrompemmo il nostro lavoro, per corrergli incontro e mostrargli, entusiaste, la nostra splendida opera. Lo zio aveva una gamba sola, noi bambine non seppimo mai come avesse perso l’altra; camminava appoggiandosi ad un robusto bastone, e faceva il ciabattino; ogni mattina, la nonna portava fuori dall’uscio il tavolino e il panchetto: lo zio vi si sedeva e aggiustava le scarpe, si sentiva tutto intorno l’odore della pece e del cuoio. Quando non aveva scarpe da cucire, andava a pescare sul Ticino, e allora si sentiva l’odore del pesce fritto. Ogni tanto ci mandava a fare qualche commissione per lui, poi ci regalava 10 lire per ciascuna; ma non la volta in cui ci mandò a comperare i cagnotti per la pesca…ma quella è un’altra storia.
Quando vide il nostro operato, restò senza parole (ovviamente)! Le porte erano più traforate dei centrini all’uncinetto della signora Luigina, ed erano veramente spettacolari….ma si sa; i grandi non capiscono. Scrollando la testa affranto, girò sui tacchi, o meglio, sul tacco, e andò a chiamare rinforzi; che puntualmente arrivarono, nelle persone del papà e la nonna. Ancora una volta, gli adulti dimostrarono di non “vedere” il nostro talento, ma soprattutto l’impegno che avevamo dimostrato in quel delicato lavoro; così dopo una solenne ramanzina, fummo sfrattate dal luogo magico e mandate in chiesa, per rimuginare sui nostri terribili peccati.
Consapevoli delle nostre colpe, a testa china uscimmo nel sole; codini svolazzanti e un solo gesto tra noi….Dalle nostre tasche uscirono i magici cacciaviti, fortuitamente trafugati…..Dove andiamo?


1 commenti:

Anonimo ha detto...

La fantasia dei bambini di una volta non ha limiti.. bastava un oggetto qualunque per giocare e divertirsi... Quanti ricordi mi ha suscitato questo racconto. Alvi.a